Il 23 marzo del 2023 il Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale per l’Unesco si riunisce per approvare la canditatura della “Cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale” all’esame del Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale.
Una candidatura fortemente sostenuta dal ministro dell’agricoltura e sovranità alimentare e della Cultura, che sottolineano come anche l’Italia, al pari di Messico, Francia, Corea e Giappone, meriti di diritto questo riconoscimento.
A valorizzare ancora di più il titolo è il fatto che la locuzione “cucina italiana” non sia da attribuire solo ai piatti delle diverse regioni, ma racchiude una ricchezza e una biodiversità enormi. Comprende anche tutte le pratiche sociali, i saperi, i riti, le gestualità e i territori che hanno contribuito a rendere speciale la nostra penisola. Come spiega lo storico dell’alimentazione, Massimo Montanari, questa candidatura fa riferimento alla cucina italiana intesa come mosaico composto da tante tessere che, insieme, danno vita a un qualcosa di unico che va oltre la specificità del singolo. Una cucina, dunque, frutto di una storia secolare di contaminazioni, scambi e confronti, che trascende le diverse regioni per essere riconosciuta dagli altri come un simbolo vivo, e in continuo divenire, di identità italiana, sia all’interno del nostro Paese, sia all’estero.
Un patrimonio nazionale che comprende tutta la filiera della cucina: dai luoghi di produzione alla tavola, dai laboratori di trasformazione delle eccellenze agro-alimentari alle cucine dei ristoranti, ma soprattutto delle trattorie e delle osterie. Perché, se parliamo di convivialità, condivisione e di cucina come atto d’amore, è alle trattorie che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. Lo sanno bene i fondatori delle Premiate Trattorie Italiane, a cui abbiamo chiesto cosa pensano di questa candidatura.
Simone Circella, presidente dell’associazione nonché titolare della Brinca, crede che sia una grande opportunità per tutti i cittadini italiani, ma soprattutto per il mondo della ristorazione. “Con questa candidatura – sottolinea il trattore ligure – viene valorizzato anche l’aspetto culturale della trattoria, non solo la cucina in sé. La trattoria ha un’identità, una sensibilità e un vissuto importanti da raccontare, fatti non solo dal cibo e dai piatti, ma da gesti, saperi che si tramandano da generazioni. Un patrimonio che finalmente, grazie a un organo istituzionale, può arrivare al grande pubblico”.
Per Alberto Bettini, della trattoria Amerigo 1934, di questa candidatura nemmeno ce ne accorgeremo perché “la cucina italiana è già percepita come patrimonio dell’umanità, non serve un riconoscimento. Anzi, la continua creazione di patrimoni materiali e immateriali rende gli stessi meno efficaci”.
La pensa diversamente Avgustin Devetak, titolare dell’omonima Lokanda, che mette in evidenza quanto questa candidatura sia una svolta epocale soprattutto per le trattorie italiane. “La cucina italiana non esiste al singolare: da Muggia a Canicattì, l’Italia è caratterizzata da una diversità immensa di cucine, vitigni, formaggi, salumi. Esiste un solo filo conduttore nella cucina italiana ed è l’accoglienza. L’accoglienza e l’ospitalità delle trattorie e delle osterie italiane sono uniche al mondo. In Francia ci sono i bistrot, dove mangi in 1 mq e hai un gestore esterno che amministra tutto; nelle nostre trattorie mangi in 5 mq e tutto è gestito da una famiglia che ti fa sentire al sicuro, come se fossi a casa. I ristoranti li trovi ovunque, le trattorie sono identitarie del nostro Paese”, sottolinea il trattore friulano.
Federico Malinverno del Caffè La Crepa ritiene che questa candidatura sia un buon inizio per valorizzare la vera identità gastronomica nazionale: la trattoria all’italiana. “Come è successo in Francia con l’appello alla candidatura all’Unesco del bistrot, simbolo dell’esprit de vivre, la stessa cosa dovrebbe avvenire in Italia a sostegno della trattoria. La trattoria rispecchia lo stile italiano, è la sola capace di raccontare l’intera nazione a tavola. Non si può parlare di cucina italiana perché il nostro Paese ne ha tante di cucine, tutte diverse, il filo conduttore delle diverse regioni è l’unicità delle trattorie. La trattoria, sia nella gestione (familiare), sia nell’arredo, sia nella convivialità della sala, sia nel linguaggio gastronomico e nella sintassi del menù di quattro portate (antipasto all’italiana, primo – risotto o pasta, secondo – di carne o di pesce-, dolce) incarna un modello concreto, tangibile ed esportabile nel mondo”, spiega il vicepresidente delle Premiate Trattorie.
Come dargli torto? Quindi sì alla Cucina Italiana Patrimonio Unesco, ma sarebbe ancora meglio se questo titolo tra qualche anno fosse riconosciuto anche alla Trattoria, scrigno di italianità gastronomica, di accoglienza e di relazioni sociali. Altro che social network.